top of page
Immagine del redattoreRedazione

I segreti delle miniere australiane e congolesi dietro la volata cinese nell'elettrico

La Cina ha raggiunto un altro record nel primo trimestre di quest'anno, secondo Forbes, il celeste Impero è diventato il primo esportatore di auto elettriche superando il Giappone mentre la Germania è retrocessa al terzo posto. Pechino in soli tre mesi ha esportato 1,07 milioni di veicoli con un aumento del 58 per cento rispetto all'anno precedente. I principali produttori sono Sale Motor di proprietà statale Byd Auto della multinazionale Btd Company.


L’eccezionale exploit è frutto dell'aumento della domanda a livello internazionale favorita da leggi approvate in un numero crescente di Paesi e mirate allo sviluppo di auto green e alla riduzione dei consumi di combustibili fossili. La Cina, Inoltre, produce anche i 75 per cento delle batterie di litio nel mondo. Il costo del lavoro più basso e il possesso della tecnologia delle batterie hanno agito da propulsori sul mercato dove il maggior produttore di auto elettriche rimane Elon Musk con la Tesla. E la sostenibilità?

Le materie prime giocano quindi a favore di una strategia produttiva sempre più agguerrita. E tutto ruota intorno soprattutto alla disponibilità di litio, cobalto, nichel, rame è diventata da anni ormai una cosa alimentata dai giganteschi interessi delle società estrattive o produttrici. In questo scenario dai confronti spesso accesi e animato da protagonisti spregiudicati si è calato Harry Sanderson raccontando i retroscena di intricate vicende nel libro dal titolo eloquente: Il prezzo della sostenibilità. Vincitori e vinti nella corsa globale all'auto elettrica, Post Editori (pagine 360 Euro 25,00).


Sanderson era un giornalista del Financial Times e per sei anni si era dedicato alla catena di

approvvigionamento di materie prime sulla quale si basa la tecnologia delle auto elettriche. Queste restano senza dubbio il grande obbiettivo da raggiungere per ridurre o eliminare l’impatto che il rincorso ai combustibili fossili genera sull’atmosfera, contribuendo al suo riscaldamento, ma non solo. L’alterazione provocata dalle sue caratteristiche modifica gli equilibri ambientali causando un deterioramento del clima del quale siamo ormai vittime. Per modificare la situazione rimanendo al di sotto dell’aumento dei due gradi centigradi della temperatura globale bisogna intervenire cominciando dal cambiamento dei mezzi di trasporto in costante aumento.


Ma che cosa nasconde l’estrazione delle materie prime di cui c’è sempre più bisogno? Solo parlando del litio l’Agenzia internazionale dell’energia prevede che la sua domanda sarà nel 2030 trenta volte più elevata di quella di oggi e diventerà cento volte più ampia nel 2050. Sino a pochi anni fa fra gli Stati uniti e l’Europa quasi non esistevano litio, cobalto, nichel e poco rame. Le batterie a litio erano inventate agli inizi degli anni Settanta con il contributo di Stanley Whittingham dell’università di Oxford premiato con il Nobel della chimica nel 2009 proprio per i contributi portati all’invenzione. Piccole e leggere avevano inizialmente rivoluzionato il mercato dell’elettronica di consumo, computer compreso. Il passo successivo guardava alla mobilità e la rivoluzione del loro costo permetteva alle auto elettriche di diventare un prodotto di massa. E qui entrano in scena società e personaggi talvolta finiti nei titoli dei giornali per le loro imprese con intrecci senza confini geografici.


Tra questi c’è Zeng Yuqun il fondatore della Catl a Ningde, montuosa città di pescatori nella Cina orientale diventata famosa grazie al premier Xi Jinping perché era stato il segretario del partito della città. La nascita della Catl risaliva al 2011 quando Zeng capiva che il governo di Pechino puntava all’auto elettrica. Ma otto anni dopo creava la prima gigafactory di batterie in Germania, a Arnstadt per garantire le forniture alle case automobilistiche tedesche siglando accordi con Mercedes Benz e Bmw. E nel 2020 la Catl forniva le batterie a quasi tutti i produttori di auto elettriche compresa la Tesla, controllando con le sue partecipazioni i

giacimenti di litio in Argentina e Australia, di Nichel in Indonesia e di cobalto nella Repubblica democratica del Congo. In questo modo la Cina puntava a diventare il primo fabbricante di auto elettriche nel mondo.

Una storia parallela era quella della Gandeng di Xiu nella Cina centrale diventa il più grande produttore di idrossido di litio estratto in Australia. Ma estrarle in Australia e tramite la Cina generava un impatto ambientale sei sette volte più alto rispetto a quello estratto in Argentina o in Cile. Così la produzione di litio in Cina era il processo a più alta emissione di anidride carbonica al mondo. Quando i rapporti di Pechino con Canberra si deterioravano i cinesi della Gandeng compravano i diritti di estrazione di un impianto in Argentina proseguendo la crescita. Problemi analoghi emergevano in Congo per l’estrazione del Cobalto dove spesso si lavora nelle miniere in pessime condizioni. Sono solo alcuni esempi. Molti altri ben dettagliati sono raccontati nel libro di Sanderson mettendo in luce i tratti nascosti e critici del reperimento dei metalli di cui le auto elettriche sono costituite. Dal momento che comunque di questi veicoli abbiamo bisogno è necessario tener conto che” la crescita delle materie prime non può essere infinita”. Quindi per garantire una necessaria sostenibilità senza pagare prezzi inaccettabili bisogna affidarsi all’innovazione riducendo prima di tutto l’utilizzo di alcune materie prime. Tenendo conto, conclude Sanderson che “qualsiasi sistema di trasporto basato sull’elettricità non pioverà dal cielo ma si baserà sullo sfruttamento delle preziose risorse del nostro pianeta”.


di Giovanni Caprara

bottom of page